Al professore che lo interroga, Christopher Lloyd ama rispondere "J'habite Metroland", adoperando il nome di una fermata della storica Metropolitan Line di Londra, "meglio di Eastwick, più esotico di Middlesex", per indicare la sonnacchiosa periferia urbana in cui vive. "Uno abitava in quella zona perché da li era facile andarsene", osserva Chris, che ad andarsene, insieme all'inseparabile amico Toni Barbarowski, come lui sedicenne, come lui francofilo e arrabbiato, come lui appassionato di arte e ragazze, si prepara con metodo. Nel frattempo i due aspiranti flâneurs, fedeli ai dettami dei loro numi tutelari Baudelaire, Gautier e Nerval, cercano modi casalinghi per "épater la bourgeoisie": condurre arditi esperimenti sensoriali alla National Gallery, occhieggiare le donne attraverso un binocolo, elaborare pretenziose teorie esistenziali, farsi gioco di chiunque capiti a tiro, "gli scemi, i capiclasse, gli insegnanti, i genitori, mio fratello e mia sorella, la Terza divisione nord, Molière, Dio, la borghesia e l'uomo della strada", e attendere che cominci la Vita Vera. Chris se la va a cercare, qualche anno più tardi, a Parigi, con un inutile progetto accademico postlaurea ma, risucchiato nel vortice di Lawrence Durrell e i caffè sui boulevards, il cinema di Bresson e le lenzuola del suo primo amore Annick, quando la Vita Vera gli corre incontro non la riconosce...