La scrittura come movimento interrogante, come rapporto di comunicazione. La scrittura come traccia che insegue ed attende una risposta che non arriva. La scrittura come ricerca infinita, relazione ultima, sofferta... con l'Inavvicinabile. È questo il filo rosso, su cui s'incentra e si dipana il telaio narrativo di Vuoti d'aria, opera prima di Chiara Ortuso, dentro le cui pagine aleggia e viene messa a nudo la radice di un'antica ferita del pensiero occidentale, dove il vissuto etico, lo scavo interiore, viene subordinato e relegato a problema sovrastrutturale. Si tratta di una prova alquanto coraggiosa che incrocia il terreno e le luci di riflettori puntati in molteplici e variegate direzioni: dai temi della libertà, dell'amore, della bellezza, dell'alterità, a quelli del lavoro, dell'alienazione, della solitudine, fino a giungere all'esperienza di quella zona grigia dei giorni taciuti che vibra e compulsa all'interno dei nostri progetti e partecipa degli indugi e delle riprese, delle pause e dei risvegli, delle speranze e delle attese deluse... patrimonio e destino di ogni umana avventura. Alto rimane, pertanto, il senso della posta in gioco del libro, che non vuole essere una affastellata collezione di ragionamenti e divagazioni su alcuni temi culturali della nostra società contemporanea...