La recente introduzione nel Codice penale delle pene sostitutive delle pene detentive brevi è solo l'ultima tappa (per ora) di un percorso di riforma dell'apparato sanzionatorio che dura, con alterne vicende, da almeno un decennio. Non si tratta di un semplice ammodernamento di strumenti. In primo luogo, numeri alla mano, le novità sono tali da mettere in discussione, almeno a medio termine, persino il primato della reclusione la protagonista incontrastata tra le sanzioni del diritto penale del XX secolo in Occidente. In secondo luogo, le disposizioni introdotte stimolano l'apertura di un dibattito anche sugli obiettivi perseguiti dal punire. Alla secolare diatriba tra retribuzione e rieducazione si possono aggiungere principi di nuova formulazione, tra cui spicca la non lesione, tramite la pena, degli interessi della vittima (victimam non laedere). A una pena che, per essere ragionevole, non può rivelarsi dannosa per la vittima e che al contempo, per essere conforme a Costituzione, deve essere un'esperienza umanamente significativa per il condannato, si giunge attraverso un primo inquadramento nella sistematica penalistica dei c.d. reati relazionali, vale a dire quelli commessi nel contesto di previe relazioni strette tra autore e vittima. Storicamente esclusi dalla sfera del penale sia prima che durante l'epoca liberale, questi reati occupano ormai quotidianamente le aule dei tribunali italiani, malgrado diverse tipologie di norme (tutte indagate nel testo) spesso di antica memoria mirino sistematicamente a evitare o a ridurre al minimo lo spazio del diritto penale. L'opera analizza il difficile presente della pena in Italia con uno sguardo disincantato, cercando di proporre una visione pragmatica del punire, in cui il nuovo modello riparativo di giustizia non viene idealisticamente sostituito a quello retributivo e a quello rieducativo, ma viene progressivamente integrato, per offrire alla cittadinanza tutta una risposta matura, sensata e valida.