Un fucile, una coperta, un cavallo, una terra sconfinata da esplorare: nel 1832, il selvaggio West americano si presentava come un infinito campo di possibilità, di aspirazioni, di speranze. Nel suo diario di viaggio nell'Oklahoma, "A Tour on the Prairies", scritto praticamente in sella a un cavallo, Washington Irving restituisce del Far West un'immagine viva e dinamica, ancora non contaminata da tanta letteratura e cinema di genere. Sedotto dal fascino della frontiera, lo scrittore è pronto a inseguire purosangue dal fiero portamento. E poi si lancia alla caccia del bisonte, animale che è l'immagine perfetta della rabbia e del furore. Eccolo, infine, riposarsi all'ombra di alberi i cui tronchi gli ricordano i pilastri di una chiesa. A seguirlo, costante, l'ombra minacciosa degli indiani. Lontano dalle atmosfere cupe della "Leggenda di Sleepy Hollow", questo taccuino racconta l'esperienza di uno dei grandi spiriti nomadi della letteratura dell'Ottocento. Una lettura che diventa tanto più affascinante perché, attraverso le piste dei pionieri e gli accampamenti delle tribù di nativi, "Irving non cerca l'avventura, il mito, la leggenda, bensì l'autenticità", come scrive Roberto Donati nella prefazione. Del resto, precisa nella postfazione Leomacs, uno dei disegnatori di Tex, il viaggio è "un approssimarci alla "frontiera" che, di volta in volta, traccia gli orizzonti in espansione della nostra esistenza".