«Oggi, 5 gennaio, sono partito da Napoli alle sette del mattino: eccomi a Portici. Il sole è sgombro delle nubi di levante, ma la cima del Vesuvio è immersa nella nebbia. Contratto con un cicerone, perché mi conduca al cratere del vulcano. Egli mi fornisce due mule, una per ciascuno; e partiamo. Si sale per una strada abbastanza larga, tira due vigneti sorretti da pioppi. Sopra ai vapori che si librano nella regione media dell'aria, scorgo le cime di alcuni alberi: gli olmi del romitaggio. A destra e a sinistra trovansi povere casupole di vignaiuoli, tra ricchi ceppi di lacryma-Christi. Del resto, dovunque, terra bruciata, vigne nude intramezzate da pini a guisa di parasoli, alcuni aloe tra le siepi, innumerevoli sassi rotolanti, neppure un uccello. Arrivo al primo ripiano della montagna. Uno spazzo nudo mi si presenta; intravedo le due cime del Vesuvio, a sinistra la Somma, a dritta la bocca attuale del vulcano; le due cime sono avvolte da nubi pallide. Procedo. Da un lato la Somma declina, dall'altro comincio a distinguere gli scoscendimenti tracciati nel cono del vulcano, che io sto per salire. La lava del 1766 e del 1769 copre il mio cammino».