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Fernanda Alfieri, storica e docente universitaria che indaga il rapporto tra
scienza e religione, parte dal
ritrovamento di un manoscritto emerso dall’Archivio della Compagnia di Gesù: è
il diario di un esorcismo.
Veronica e il diavolo è infatti la cronistoria di Veronica Hamerani e dei due
gesuiti incaricati di liberarla dagli attacchi del demonio.
Quando si parla di esorcismo, soprattutto con lo sguardo di
oggi, è inevitabile porre in essere un doppio sguardo, quello spirituale e
quello scettico/scientifico.
A questo si aggiunge lo studio del contesto storico di riferimento,
fondamentale per una corretta comprensione dei fatti.
Quella di Veronica e il diavolo è la Roma del 1834, ed è il teatro che vede Veronica oggetto di indagine da un lato della Chiesa che ritiene che la donna sia posseduta dal Maligno, dall’altro c’è la medicina che vede i segnali dell’isteria. Una continua tensione tra superstizione e modernità, in una dialettica che si esprime attraverso la costruzione di uno scenario accuratamente riproposto e grazie all’entrata in scena di personaggi che ci fanno percepire alla perfezione il contesto.
In Veronica e il diavolo non troviamo solo la dicotomia scienza-religione e il rapporto tra i gesuiti e la donna, ma assistiamo a un ritratto storico che si esprime attraverso personaggi come padre Kohlmann che ha visto la modernità avanzare e il vecchio mondo distruggersi; padre Manera, che alla scienza e alla religione aggiunge il dubbio che sia tutta una messa in scena; e poi medici e religiosi, famigliari e gente semplice, tutti sguardi che convergono su Veronica, la vera protagonista eppure allo stesso tempo la vera assente.
Perché in Veronica e il
diavolo, alla donna che dà il nome al titolo è stata tolta la parola.
Il suo è solo un corpo conteso e un nome cancellato ed è per questo che
Fernanda Alfieri restituisce alla sua esistenza la dignità di una storia.
Una storia individuale che si tinge dello scontro tra sapere e potere.
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