Dov'è finito il good design? Cosa ne è stato del Bauhaus, degli Eames, dei Saarinen, della Scuola di Ulm, del design italiano degli anni d'oro, quello dei maestri? Nel terzo millennio, il design - molto di quello che furoreggia alle mostre o sulle pagine patinate delle riviste - non sembra dare un sostanziale contributo alla qualità della vita quotidiana, non punta sull'innovazione. Il design, oggi, ha perso vocazione sociale. Non affronta i problemi cruciali del nostro tempo, come la razionalizzazione delle risorse o lo smaltimento dei rifiuti. Non offre soluzioni né strategie. Incorpora simboli immaginari, linguaggi, che magnificano merci rendendole irresistibili. Ciò che conta, soprattutto, è far parlare di sé, nel bene o nel male, e vendere. Il prodotto è uno schermo su cui proiettare storie; è diventato design pulviscolare: gadget, gingillo, obsolescenza programmata.