«Ho vissuto per anni, insieme ad un nutrito gruppo di giovani, l'esasperazione del divino come una nuova parusia. Eravamo giovani che avevano superato la linea del reale per quella dell'eterno, fino a diventarne una tensione unica che andava incontro a conseguenze di varia natura. Anche le più importanti gerarchie della Diocesi erano preoccupate di preparare esclusivamente fedeli esecutori delle volontà del Vescovo, identificato come unico riferimento divino. La tensione ontologica si era spezzata fra noi ragazzi, ciascuno aveva scelto di obbedire agli uomini della Chiesa che non erano del tutto preparati a questo cambiamento. Pertanto ogni giovane che viveva l'esperienza trascendentale cosi potente e unica, si era trovato in una situazione interiore peggiore dell'antico Prometeo, subendo sofferenze spirituali che avrebbero lasciato gravi segni per tutta la vita. Dopo l'esasperante esperienza del divino e l'essere obbligato a vivere un turpe quotidiano, con lo spasimo di un Dio mai completamente raggiunto, mai terminato e che non mi ha portato ad una identificazione, oggi rimane un'attesa messianica di riconciliazione e di unità con il reale».