Negli ultimi venti anni in Italia sono successe molte cose: si sono succeduti tredici governi, alcuni paesaggi urbani sono mutati radicalmente per mano dell'uomo o per catastrofi naturali, a volte cambiamenti importanti, altre volte così impercettibili che tutto sembra rimasto al suo posto. Attraverso i suoi reportage, Emiliano Mancuso, scomparso prematuramente lo nel 2018 all'età di 47 anni, ha documentato con sensibilità il nostro paese ricorrendo a tecniche e linguaggi diversi, bianco e nero, colore, immagini digitali o analogiche. E le polaroid, importanti poiché nella loro immediatezza accompagnano il passaggio dell'autore dall'immagine fissa a quella in movimento che lo porterà, nell'ultima parte della sua vita, a essere regista. Senza abbandonare il suo terreno d'indagine, semmai amplificandolo grazie all'audio e al video, Emiliano Mancuso traccia un paese intessuto di microstorie, di esperienze che si mostrano nude nella loro sincerità. C'è la sua umanità mentre disegna i protagonisti che sceglie per raccontare il paese. La politica, l'economia, la macrostoria, sono sempre filtrate dalla microstoria dei singoli. Vite vissute e testimoniate in prima persona. Con candore, con intrepida audacia, assistiamo allo scorrere di un tempo narrato con compassione rara. Il volume, a cura di Renata Ferri e Giulia Tornari, raccoglie oltre 150 foto in quattro differenti corpi di lavoro: 'Terre di Sud (2003-2008)', incentrato sull'immobilismo del Mezzogiorno; 'Stato d'Italia', basato sul viaggio che ha portato il fotografo a documentare la rivolta dei braccianti a Rosarno, gli sbarchi di Lampedusa, le problematiche legate ai fumi delle acciaierie di Taranto; 'Il diario di Felix (2014)', in cui si racconta l'ultimo anno di otto ragazzi a Casa Felix, casa famiglia a Roma in cui i minori scontano misure alternative al carcere; e infine 'Le cicale (2018)', viaggio intimo nella vita di quattro persone che vivono con la pensione minima o lavorano in nero nell'attesa di ottenerla. Il racconto di un'Italia dolente, senza illusioni, in perenne oscillare tra la conferma dello stereotipo e la cartolina malinconica.