«Tutto il resto è letteratura» pone uno iato tra vita reale e vita rappresentata, archiviando come certificato ciò che è al di qua dell'esperienza, in uno scavo poetico che non si acquieta. Viviamo un'atmosfera residuale, siamo andati oltre la storia, dispersi in un'epoca cronologicamente disfatta. Vittorino Curci interroga senza appello, eppure c'è uno spiraglio in questo rammemorare che ci rende complici, per un nuovo ritmo dove la ricerca si spinge nei territori di un suono prosodico al riparo da sperimentalismi in cui la poesia rinnova sé stessa, trovando uno spazio di consapevolezza resistenziale, in cui le parole danno voce a una vita che non necessita di parole per essere vissuta nei suoi momenti più salienti, e il resto è letteratura: nell'inquietudine della resipiscenza, pentimento tardo, nella natura che rischia di non essere nutrimento, nel paesaggio distante da un uomo che per ascoltare il mondo non usa l'orecchio, ma poggia a terra un microfono, in un passato che come premesse aveva feroci bugie, e in un'abiura del presente. Attorno all'oggetto che vive se è guardato, si chiama all'adunata una "comunità disperante", che crede nel messaggio della parola umana.