Io voglio che questo posto faccia nascere tempo nella pancia delle persone
Al 99 di Piccadilly viene messa in scena la realtà. Chi, come il protagonista, entra nell’edificio superprotetto, si ritrova in un cosmo parallelo, indecifrabile. Si è catapultati nella Russia degli anni 30, in un istituto di ricerca fisica. È una produzione, un set, un’impresa cinematografica? Di più, molto di più. L’ideatore visionario Igor ha ricreato la realtà di quel mondo, dello studio dello scienziato Vernadskji. Non ci sono però attori, non c’è finzione. Il produttore Igor ha ricreato lo spazio e dentro di questo il tempo. Igor ha dato vita alla storia facendone presente, imitando la vita come nessuno aveva mai osato.
Un viaggio, quello del protagonista, fotografo, in questo universo che è una reggia, dove centinaia di ore di girato creano mondi e atmosfere. Dentro c’è la scienza, e l’uomo, e l’amore, e la relazione, ufficiale e non. Vernadskji era promotore di una concezione fin troppo umana dell’amore. Il fotografo vola a più riprese da Torino a Londra, chiamato da Igor e da sua moglie “che non si può discutere, ma solo amare” per realizzare un reportage fotografico dell’impresa, e della reggia senza vento, carica di una vita che vive in un tempo che non esiste più. L’Unione Sovietica di Vernadskij, di quei tempi, era stata dipinta da Igor come una reggia senza vento. Forse era davvero una reggia senza vento.
Ispirato alla storia vera del mega progetto DAU di Ilya Krazhovkji, la grande installazione che avrebbe riportato Berlino indietro nel tempo per 4 settimane, Est è un racconto estraniante e a tratti spiazzante che mette al centro l’uomo e la sua realtà. Est come identità geografica, ma anche come concetto ontologico (est in latino, è).
Così la conoscenza di Igor, l’immersione in questo mondo speculare, diventa un modo per guardare il proprio io allo specchio, confrontandolo con le apparenze, e le maschere delle relazioni umane. C’è un matrimonio, che più che finzione è interpretazione dell’amore, una sorellanza responsabile fatta di sostegno. C’è l’amore per una figlia che è tutto il mondo, e il senso della vita stessa. C’è la conoscenza di sé in un amore che travolge e che insegna a riadattare, come un karaoke innovativo che descrive se stessi attraverso strofe nuove su melodie note, e che insegna come siamo tutti doppi.
Un’affermazione di identità, come strada per decifrare e poter interpretare la realtà, o l’immagine di essa, in un universo che non sta fermo, e nel quale il concetto di tempo accoglie la conoscenza. È la noosfera la fase più evoluta secondo lo scienziato Vernadskji, il mondo interconnesso della conoscenza prodotta dalla mente umana.
Allora ci sono occasioni da non perdere, sincronismi da cogliere, perché anche l’Amore è fatto di tempo, di attese e di ritardi che smontano il prestabilito. L’amore reale danza sulle coincidenze come fossero punte.
Un’opera nuova e coraggiosa, che usa una storia di per sé alienante per raccontare l’amore più semplice perché universale. E ci lascia un po’ di inquietudine e tanti quesiti su noi stessi. Bella esperienza di lettura, sfidante.
Recensione di Francesca Cingoli