Se è vero - come ha scritto Francesco Biamonti - che «è destino umano abitare un mondo», è altrettanto vero che le categorie di spazio e di paesaggio divengono i fondamentali strumenti ermeneutici per cogliere il senso della nostra posizione nel mondo, in una sorta di mapping infinito e inesauribile. Prendendo le mosse da una ricognizione filosofica dei concetti di spazio e paesaggio, visti e considerati dialetticamente, nelle loro reciproche implicazioni, nonché dalla rilettura di alcuni momenti chiave dell'opera di Calvino, si analizzano le forme della rappresentazione spaziale e paesaggistica in tre autori di "scuola" calviniana: Biamonti, Del Giudice e Celati. Emergono così approcci anche molto diversi, ma tutti in qualche misura accomunati dal riferimento a Calvino, la cui attività scrittoria si era svolta tra la gioiosa scoperta del paesaggio nativo e l'emergere, sulla scorta di un novecentesco spatial turn, di un interesse sempre più marcato ed esclusivo nei confronti della spazialità. Di qui le soluzioni, in parte divergenti, adottate dai tre scrittori: il paesaggismo modernamente aggiornato di Biamonti, che frantuma il paesaggio tradizionale restituendone echi e risonanze esistenziali; la rigorosa ricerca spaziale di Del Giudice, per il quale il paesaggio si riduce a pura archeologia, a inservibile reperto del passato; lo sguardo fenomenologico di Celati, l'autore che forse più di tutti cerca di rompere la dicotomia spazio/paesaggio per trovare nel concetto di luogo, inteso quale sintesi insolubile di spazio e tempo, un ancoraggio poetico ed esistenziale.