Tibet... A cosa associate questo nome? All'espressione "tetto del mondo"? Alle scene pittoresche con devoti monaci e riti esotici? A "Sua Santità", il "Dio-Re" Dalai Lama con il suo malizioso ed enigmatico sorriso? Forse ci vengono in mente termini quali Buddha, saggezza, spiritualità, meditazione, illuminazione, misticismo, tolleranza, pace e nonviolenza? Oppure all'accattivante slogan politico "Tibet libero"? Si può anche però parlare di "inferno in terra": un'espressione per definire il Tibet usata spesso e volentieri sia dal Dalai Lama che dal governo cinese. Ognuno dei due lo intende tuttavia in maniera completamente diversa: per il Dalai Lama a essere un "inferno" e una "grande prigione" è il nuovo Tibet cinese che egli lasciò nel 1959, soprattutto a causa dei limiti imposti a quella religione che egli vede come il nucleo dell'identità e della cultura tibetane. Invece, dal punto di vista cinese, a rappresentare un "inferno in terra" è proprio lui, il Dio-Re fuggito all'estero e la vecchia élite legata alle tradizioni del Tibet, cioè a quella che era stata una società feudale profondamente disumana, crudele, tirannica e corrotta.