Niccolò, Antonio, Gaia, Salvatore, Emma, Agnese ed Enea. Un articolato intreccio di relazioni ruvide, irrisolte e conflittuali, storie di persone che sembrano non incrociarsi mai, anche quando vivono nella stessa casa o masticano la stessa polvere. A unire e dividere quella terra che a volte si presenta materna, altre volte violenta, a tratti rifugio, oppure tomba, amata e stuprata. La terra come cuore sacro ancestrale al centro della vita e della morte. In questo microcosmo che appare come sospeso nel tempo irrompe però l'imprevisto, il ritrovamento di un cadavere che segna nel profondo indagati e indagatori, in una voluta confusione di ruoli in cui la ricerca della verità scava in profondità nella coscienza di una intera comunità, solo apparentemente assopita ai piedi del complesso minerario di Montevecchio. Albè riesce nell'intento di disegnare in modo preciso una tela narrativa dove rimorso e redenzione diventano gli strumenti di espiazione di un paese immerso in un palcoscenico aspro e selvaggio, in un luogo in cui è facile perdersi ma anche ritrovarsi, mentre il vento modella le dune di sabbia e scalfisce gli impianti di miniere abbandonate da tempo.