A partire dai primi anni dell'Ottocento, la diffusione di una ricca e - con l'affermarsi della scuola realistica - sempre più dettagliata messinscena divenne il tema d'infiniti dibattiti e polemiche soprattutto in ambito francese. All'epoca, Parigi - con la prestigiosa Comédie-Française e la sua diramata rete di teatri - era infatti una vera capitale globale dello spettacolo, nella quale la messinscena era coltivata anche a scopi commerciali. La messinscena finì, così, per superare l'essenzialità psicologica del classicismo e sconvolgere le tradizionali priorità fra dramma e allestimento, parola e visione, attore e istruttore, addirittura fra ideale e reale, avviando una rivoluzione che, da un'esigenza sempre più sentita di sintesi scenica, avrebbe registrato, nell'arco di alcuni decenni, la maturazione della regia moderna. Nel 1884, un ex militare, oscuro drammaturgo, ma rispettato poligrafo, Louis Becq de Fouquières dà alle stampe L'arte della messinscena, che può considerarsi la prima opera organica di teoria della regia. È un saggio polemico, talora severo, ma combattuto, che mira a sottolineare che «il progresso dell'arte drammatica è ben lungi dal richiedere un lusso sproporzionato nella messinscena, e che sovente è riducendola che la messinscena merita il nome di arte». L'autore affronta, quindi, il tema dal punto di vista dell'«estetica teatrale», ma non si ferma certo alla filosofia e - oltre a interessanti interpretazioni di alcuni classici - offre vari spunti tecnici sempre utili per chi debba allestire qualsiasi spettacolo nella scatola scenica di un teatro all'italiana. Non è un caso che talune delle indicazioni di Becq de Fouquières affiorino ancora nella pratica di un regista come Ingmar Bergman.