"Un allievo ha ricevuto una diagnosi di dislessia. È un ragazzo sano e intelligente; ha gli organi di senso perfettamente integri, ha sempre frequentato scuole regolari cercando di impegnarsi come poteva. Però, a 11 anni, legge 0,89 sillabe al secondo. La media è 3,69, la deviazione standard è 1,12 e quindi lui è sotto 2,5 deviazioni standard. Probabilmente leggerà tutta la vita in modo un po' più difficoltoso dei coetanei cosiddetti «a sviluppo tipico», cioè i coetanei che hanno una velocità di lettura nella media. Ma il suo problema potrebbe finire qui. Non voglio sottovalutarlo. Questo problema gli genererà momenti di stanchezza e di demotivazione. A volte un po' di sofferenza emotiva. Però potrebbe rimanere circoscritto a questa fatica e a questa lentezza nel decodificare testi. Naturalmente gli insegnanti dovrebbero saperlo, dargli una mano, consigliargli sintesi vocali e audiolibri, invitarlo a studiare su mappe concettuali ben fatte e via dicendo. Non sto sostenendo che sia facile, sto solo cercando di circoscrivere il problema e di illustrare i metodi necessari per affrontarlo. Sto cercando di fare in modo che la cosa non diventi più grossa di com'è. Ci sono due modi per farla diventare più grossa. Il primo è molto semplice: non riconoscere le sue difficoltà e lasciarlo affogare. Il secondo è più complesso: fogli, bolli, carte, salvamenti, diagnosi, codici ed etichette e alla fine si fa strada l'idea che «io sono fatto così» che si trasforma in tendenza a sentirsi meno responsabili del proprio apprendimento. Significa gettare la spugna. Due virgola cinque sillabe al secondo meno della media diventano «io a studiare non ce la faccio: tanto vale che ci rinunci». E cosi, invece dell'accettazione, arrivano il dolore e l'evitamento."