A nessuno piace essere definito vigliacco, vile o codardo, parole cariche di disprezzo e di condanna, che stigmatizzano, con un marchio difficile da sopportare, il soldato che fugge in guerra come chi in un rapporto affettivo si sottrae alle proprie responsabilità, o coloro che colpiscono persone più fragili, non in condizione di difendersi. Eppure, ha scritto Kierkegaard, «chiunque si sforzi di conoscere davvero se stesso dovrà ammettere di essersi non di rado colto a mostrarsi codardo». La viltà, male comune che tutti possiamo riconoscere dentro di noi e che incontriamo in ogni ambito del vivere, è uno dei più subdoli veleni della vita collettiva: inquina le relazioni, compromette irreparabilmente la fiducia reciproca. In questo libro, la riflessione etica e la ricerca storica e sociale si integrano in modo originale e spesso sorprendente, per raccontare, attingendo a esempi e figure chiave tratti dalla storia come dalle pagine di poeti e romanzieri, la viltà e il coraggio nelle loro diverse manifestazioni e nelle esperienze, anche emotive, che li muovono e accompagnano. Per mostrare che l'essere vili o non esserlo, alla fine, è sempre frutto di una scelta. E per scoprire che questo male che attraversa l'umanità, presente in tutte le epoche e in culture diversissime, ha conosciuto una trasformazione nel tempo: se la «viltà degli antichi» toccava diversamente i nobili e i plebei, le donne e gli uomini, quella «dei moderni» si è spalmata sull'intera società, dando vita a inedite dinamiche di potere.