È sempre attuale il tema della formazione della classe dirigente, scelto da Raffaele Mattioli insieme a Brunello Vigezzi come fulcro di un programma di studi storico-politici, coordinato attorno a una costituenda rivista con una prospettiva unitaria e globale, concepito negli anni 1970-1972 nell'intento di contrastare le fratture ideologiche che dividevano il campo della ricerca storiografica, e di reagire alle turbolenze del Sessantotto. In quella «fase di seria travagliata trasformazione dagli esiti quantomai incerti» nasceva l'esigenza di esaminare chi costituiva allora la classe dirigente, in confronto a chi l'aveva costituita in passato, per individuare le tendenze del futuro sistema politico. Nel concetto di "classe dirigente" si facevano rientrare «tutti coloro che, al governo o all'opposizione, nel parlamento o fuori di esso, muovendosi in una sfera ufficiale ovvero entro spazi propri ed autonomi o addirittura alternativi, abbiano svolto, svolgano o si preparino a svolgere compiti che vanno di là del puro esercizio d'un mestiere, d'una professione, d'una funzione, per contribuire invece, nelle forme e nei settori propri ad ognuno (politico, economico, amministrativo, militare, religioso, culturale, sindacale...) a quella che è, di periodo in periodo e ai diversi livelli, la "gestione degli affari del paese"» (Premessa). Si trattava non solo di un progetto di ricerche, ma di un appello per rinvigorire la partecipazione democratica: occorreva superare, sotto la guida di una rinnovata classe dirigente, le carenze di impegno intellettuale e civile accumulatesi nel secondo dopoguerra, convogliando il malcontento verso «adeguate» riforme. Il progetto era dunque politico, e non meramente didattico. A Mattioli premeva difendere la continuità delle istituzioni - e della sua banca - facendo appello a un saldo spirito di solidarietà e responsabilità che permettesse l'ulteriore sviluppo del paese, e la difesa della sua 'sovranità'.