A William Barclay (1546-1608), giurista e filosofo, scozzese di origine, ma francese di adozione, toccò il destino di inaugurare la modernità attraverso la riformulazione di una teoria antica, quella del diritto divino dei re. Noto per aver dato un nome alla minaccia 'monarcomaca' nel suo De regno (Parigi, 1600), fu autore di un finora dimenticato De potestate Papae (postumo, 1609), di cui si presenta per la prima volta al lettore italiano l'edizione, la traduzione e il commento. L'essere stato campione del diritto divino dei re se gli meritò subitanee traduzioni in inglese e in francese, nonché la veemente replica di Roberto Bellarmino e l'attenzione di fra Paolo Sarpi, fu probabilmente all'origine della sua sfortuna presso i posteri. Avvocato dell'assolutismo e dei suoi diritti, come lo ricorda John Locke, si impegnò nel trasferimento della sacralità del potere e dell'obbedienza a esso correlata dalla corte pontificia romana alle corti politiche europee.