I drammi qui raccolti, scritti tra il 1881 e il 1886, sono emblematici del tardo Ibsen e della sua cupa visione della società borghese come sistema repressivo che non concede agli individui alcuno spazio di libertà e gioia costringendoli a vivere nella perenne scissione tra ricerca di autenticità e menzogna delle convenzioni. Questa desolata tragicità scandisce l'amara parabola di Spettri, dove l'eredità del passato con i suoi fantasmi soffoca ogni possibilità di vita vera; l'apologo contro la tirannide della maggioranza del Nemico del popolo; la denuncia del fanatismo della verità che conduce alla rovina nell'Anitra selvatica; il peso schiacciante della tradizione e della morte in Rosmersholm. Poeta del disagio della civiltà, il grande drammaturgo norvegese delinea in questi testi l'utopia di un'umanità conciliata per la quale il valore consiste nel realizzare liberamente il proprio destino contro ogni forma di ipocrisia e viltà e l'unico vero peccato è il tradimento della propria vocazione. Introduzione di Claudio Magris.