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“Torna indietro, scrittrice, torna alla notte di tenebre della tua giovinezza, è forse racchiuso lì il segreto di tutto? Chi sei, ciò che ti terrorizza. Conta le volte in cui nei tuoi libri compare una bambola bionda. Figura evanescente, te stessa, riemersa per dire: è colpa tua. “
Teresa Ciabatti con Sembrava bellezza si spinge con coraggio verso un’oscurità che pochi hanno saputo svelare, e pochissimi ammettere. Dando voce all’indicibile, racconta la sporcizia dell’anima, e la più umana bassezza, in una storia vera non solo per lei, per tutte.
Una scrittrice quasi cinquantenne viene ricontattata dall’amica dell’adolescenza, Federica, e riapre la botola del suo passato. Quello di una ragazzina inadeguata, sempre in secondo piano, a scuola e nella vita: lei e Federica, quelle non bionde, non magre, non ammesse alle feste giuste.
Pomeriggi sole, stese sul tappeto a immaginare una vita che non le voleva, a sentirsi sbagliate, ragazzotte sovrappeso e complessate, a guardare la sorella di Federica, Livia, la reginetta della scuola, la più bella, la più amata.
L’inadeguatezza è uno dei sentimenti più indelebili della crescita di una donna, lascia tracce che non scompaiono mai. E spinge indietro, lega per sempre all’adolescenza, riporta giù, nel fondo, con una forza di gravità che è fatta dei chili di troppo, della ferocia delle altre, quelle giuste, con lo zainetto che va bene, i capelli biondi, le gambe lunghe. Sono quelle desiderate, che fanno la lampada, che fanno le foto. Alle altre resta uno spettacolo a cui assistere, ma mai prendere parte, mai protagoniste.
La memoria del dolore è fatta delle perfezioni delle Livie, e della cattiveria delle Lavinie: e i sentimenti di ossessione e di rabbia che fanno crescere dentro sono un’oscurità scomoda e sporca piena di fantasmi.
“Non mi riconoscevo nella modestia, nel primo piano della palazzina di via dei Monti Parioli. Nella mancanza di sfarzo -sia pure simulato, simulatelo!
Datemi una pelliccia, un cigno, qualsivoglia segno di distinzione. Una molotov con cui fare una strage. Se non posso primeggiare, ho tuttavia l'opportunità di eliminare chi mi rende inferiore, una a caso.”
Quando si ritrovano adulte, Federica e la protagonista non hanno più diciassette anni, ma dentro di loro sono ancora ferme lì, ancorate nella loro tempesta di rabbia, con quel fardello di vergogna ingombrante e imbarazzante come lo zainetto a forma di koala. Sbagliate per sempre, in cerca di rivalsa.
Livia è cresciuta, anche lei, ma dopo un incidente è rimasta bloccata, il corpo sempre bellissimo, ma la testa di una ragazzina, che volteggia, un palloncino in mano, ritardata che ha bisogno di accudimento.
Per la protagonista è la possibilità di prendersi cura di lei, per riparare alle sue carenze di madre, ossessionata dall’inadeguatezza e da mille paure di dover crescere una comparsa come lei.
Ma imparare dal passato significa forse riuscire ad affrontare l’età adulta, scandagliando nella melma dentro di sé, per riportare a galla le proprie mancanze, e incontrare i demoni del proprio dolore, invecchiati pure loro.
Sembrava bellezza è una storia di cadute, metaforiche e non, per gioco o per dolore: sono cadute che fermano il tempo cristallizzando un’esistenza o lo mettono in moto, con una sfida televisiva che segna una vita capace di accettare la luce e andare avanti, smarcandosi per sempre.
È un romanzo feroce, che urla a voce alta, per tutte le donne che hanno urlato dentro di sé, negli anfratti nascosti della loro anima, passate inosservate, umiliate, lasciate sempre in secondo piano.
Coraggiosa anche nella scrittura, Teresa Ciabatti quasi rinuncia all’interpunzione, preferisce frasi corte, brusche, un ritmo sincopato: il risultato è un flusso di coscienza ribelle e convulso, ossessivo e ironico. Il suo stile è libero, e senza uguali.
Date a Teresa Ciabatti, scrittrice dell’imperfezione e del dolore, un cigno, un attico, un diadema. Datele lo Strega.
“È tutta una questione di fantasmi, gente che continua a muoversi nella testa come l'hai lasciata. Ritrovarla è una delusione, il fucile che rincula, facendoti sobbalzare in avanti, benvenuta nel presente. Lampo d'indulgenza plenaria: anche tu, Lavinia, in qualunque luogo sia, vai in pace.”
Recensione di Francesca Cingoli
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