Nove anni dopo la giornata di Ischia di Castro che aveva avviato una prima riflessione su Sebastiano Gandolfi e ne aveva ripercorso la carriera e indagato il ruolo, vengono qui riproposti i testi a lui riconducibili. Un piccolo corpus di rime - per lo più d'occasione - e di lettere che ci restituisce la parola del "cavalier Gan-dolfo", uno dei segretari di Pier Luigi Farnese e sodale di Claudio Tolomei e di Annibal Caro. La silloge comprende sonetti, canzoni, stanze, e insieme lettere familiari e di negozio. Si tratta di testi parte inediti e parte proposti sparsamente nelle raccolte liriche e epistolari degli anni Quaranta e Cinquanta del Cinquecento che ora, riuniti e provvisti del necessario corredo esegetico, ci rendono familiare una voce altrimenti condannata all'indistinto quando non confusa con quella di Gandolfo Porrino. Una voce, quella del Gandolfi, che non si impone sulle altre né per qualità formali né per novità o profondità, ma della quale non potrebbe fare a meno chiunque, interessato alle vicende della vita politica o di quella culturale del tempo, sia impegnato a recuperare nella sua pienezza un ambiente che sappiamo destinato a segnare come pochi altri sia la vita pubblica che quella letteraria e artistica del pieno Rinascimento.