La tesi che Diaconale sostiene in questo suo nuovo libro è che se la Chiesa resiste da oltre duemila anni è perché ha avuto la capacità di adattarsi ai cambiamenti del mondo in cui ha operato. Ma Papa Bergoglio, da buon gesuita cresciuto a pane, peronismo e terzomondismo anticolonialista e anticapitalista, si è spinto più in là dei suoi predecessori. Fino a trasformare l'istituzione inventata da San Paolo nella più grande Ong (senza navi) del pianeta, specializzata nel terreno del politicamente corretto. Abbracciando un modello globalista e pauperista di multiculturalismo e immigrazione incontrollata, il cristianesimo sembra voler abbandonare il suo bimillenario legame con l'Occidente per diventare una sorta di sincretismo buonista universale. Ma - sostiene Diaconale - rinunciare alla propria identità, proprio nel momento in cui non solo il radicalismo islamico ma l'intero mondo dell'Islam usa il proprio mastice religioso per lanciare la propria offensiva di rivalsa e di reconquista nei confronti dell'Occidente, significa arrendersi prima ancora di combattere. Tutto questo viene presentato come una svolta progressista diretta al dialogo con le altre religioni monoteiste. In realtà si tratta di una scelta regressiva che finisce con il cancellare quel tratto identitario della civiltà occidentale - cioè la libertà individuale e la separazione tra Stato e Chiesa - che è una delle componenti indispensabili del cristianesimo. Può, allora - si chiede l'autore - un laico liberale continuare - con Benedetto Croce - a dirsi cristiano? E come può farlo, se il massimo rappresentante della cristianità respinge e ripudia la metà della propria identità?