Tra gli eventi cruciali della storia del Giappone, la guerra Boshin, la "Guerra dell'anno del drago" del 1868-1869, segnò la restaurazione imperiale Meiji e la fine del governo feudale dello shogun, il capo supremo dei samurai. Alla base della rivolta, che rese possibile il sovvertimento del potere, fu un nuovo tipo di samurai: lo shishi ("uomo dagli alti ideali"), sostanzialmente povero, emarginato e senza padrone (rônin) che, deluso dal regime feudale, decise di passare all'azione. Mosso da una volontà di ferro forgiata dalle avversità, fornì la piattaforma e il braccio armato per la rivoluzione, guidata dalla corte imperiale e dai ceti borghesi emergenti. Non si trattò, tuttavia, di un conflitto tra vecchio e nuovo, ma di uno scontro tra fazioni la cui rivalità risaliva ai tempi della battaglia di Sekigahara del 1600: entrambi i contendenti desideravano lo stesso obbiettivo, ovvero quello di traghettare il Paese verso la modernità, e vinse la fazione che seppe maggiormente apprendere l'arte occidentale della guerra. L'élite della casta guerriera dei samurai, pallido ricordo rispetto al suo glorioso passato, mancato l'appuntamento con la storia, si avviò così verso un lento e inesorabile declino, entrando però nella leggenda. Esplorare questa storia, ricca di intrighi politici, duelli, delitti, battaglie e personaggi memorabili, in un periodo di profondo mutamento dove tradizione feudale e modernità convivevano, costringe a immergersi in un racconto avvincente che continua ancora oggi ad affascinare. Nel libro di Francesco Dei emerge un epico dramma che ha ridefinito il corso della nazione nipponica.