Ci si prepara all’arrivo dell’uragano Katrina a Bois Sauvage, Mississippi.
Case che sono poco più che baracche, da rappezzare con pezzi di legno, con quello che si trova, provviste da mettere insieme, qualche scatoletta, quello che c’è. Poca roba da mettere in salvo, quanto di più prezioso si possiede: un pacchetto di vecchie foto, e un pitbull da combattimento coi suoi cuccioli. Sono soldi.
Dodici giorni così, per la famiglia di Esch, poco più che bambina e già incinta, il ventre che tira sotto la maglietta, la polvere addosso, in mezzo ai moscerini della Fossa, l’avvallamento dove vive, orfana di madre, padre alcolizzato, qualche gallina, e tre fratelli.
I bianchi si mettono in salvo, ma loro no, nonostante le comunicazioni che arrivano, le allerte, l’esperienza di chi in mezzo agli uragani ci vive, e ne conosce la violenza e la minaccia.
Ma non c’è posto dove andare, e allora si chiude bene la porta, si riempie la vasca da bagno per avere acqua quando bisognerà stare dentro ad aspettare che passi, si cucina il cibo. Katrina è una furia cieca che arriva e distrugge tutto, sventra e sradica, lasciando la morte, annientando tutto, e tutti. “macerie umane in mezzo a ciò che restava di tutto quanto”.
Un libro che inizia con una cagna che si sgrava, una scena cruda, che dà subito il senso della verità. Sangue e morte, la maternità che è strazio paziente, che è abbandono, sofferenza del corpo, carne e viscere.
Esch sarà madre anche lei, senza che ci sia un padre, lei che non si è mai riuscita a negare agli amici dei fratelli, che ha cercato uno sguardo su di sé, innamorata di un sorriso che non è mai per lei.
È un libro violento, Salvare le ossa, fisico e animale, in cui la carne prevale sempre, nelle risse feroci di ragazzi, nella gravidanza che lacera le budella, nei dettagli dei combattimenti di cani.
Nel lirismo cupo del romanzo c’è il mito, madre natura, rigogliosa e pulsante, boschi di querce e torrenti, e c’è Medea, la madre che si macchia del sangue dei figli. La madre tradita e abbandonata che diventa madre assassina, come Katrina che “ci ha lasciati qui perché impariamo a camminare da soli. A salvare ciò che possiamo”.
Questo romanzo è un tributo duro e poetico alla vita e all’amore, che commuove e respinge insieme, per l’umanità che ne emerge, vera e concreta, corporea, fatta com’è di istinto primitivo e sanguigno nel quale c’è la redenzione solo nella sofferenza che nobilita il cuore.
Recensione di Francesca Cingoli