«A chi legga, e per la prima volta, la poesia di Antonella Anedda vorrei offrire un piccolo studio, addirittura specifico ad un solo testo: un discorso, dunque, non prefatorio ma in sé inaugurale di un'attenzione, da sempre promessa e vissuta, al senso della poesia. Del resto, è ancora una volta lo studio la possibilità davvero gratuita nei confronti di un esordio letterario. Quasi a fine di libro, leggiamo "Hanno raccolto le lampade, avvolto gli oggetti", ovvero la sesta parte di "Chiusa di vento". Le forme polimetriche appaiono complesse: inserti di prosa insieme a versi limpidissimi; improvvisa recisione di un verso fuori squadro, sgranato e mosso spazialmente, accanto all'uso continuo, spesso folgorante, del corsivo. Una lingua così aperta resta sorprendente; e lascia una pausa nel lettore, un'immediata e profonda intimità, pur senza riconoscimenti. Questa pausa è già il tributo di una conversione poetica: come comprendere quella verticalità lirica, tanto struggente quanto levigata, che sembra rinunciare a qualsiasi immaginazione (intendo l'alimento o quelle pienezze timbriche che danno subito un mondo) per accedere, piuttosto, ad una sorta di ombra poverissima, alla verticalità di un'esperienza insieme inevitabile e sottile, ancora insistita eppure sconvolta dal primo soffio: quasi che le stesse parole nascano allontanate dalla loro stessa origine, vicinissime ai limiti acustici dell'ascolto, della comprensione - del destino.» (dalla Premessa di Arnaldo Colasanti)