Nella parola poetica di Daniele Piccini si sedimentano regni: il visibile e l'invisibile, il presente e l'interminabile distesa della memoria, il regno del ricordo e quello, bruciante, del desiderio. Piccini sa che dai luoghi "altri" (i "luoghi / non giurisdizionali" di Caproni) continuamente giungono sussurri, richiami amorevoli, segnali: voci che animano un dialogo e suscitano leopardianamente le presenze del mondo, le convocano. Il mondo non è solo quello segnato dai limiti e dai confini: un altro continuamente preme alle sue porte, si rivela per lampi e per frammenti. La realtà si tende, in vista di una promessa di compimento, e il poeta si pone nel centro di ogni attesa, del tremolare stesso della creazione. "Pensare quel che è assente come parte del nostro vivere, fare dell'assenza - di stagioni e figure, di voci e sguardi - un principio di appartenenza, insomma il proprio che è all'origine del linguaggio. Che la sorgente nascosta del dire poetico, il principio che si fa suono, parola, ritmo, stia appunto nel sentire dentro di sé l'energia di questa intima privazione?", si chiede Antonio Prete nella Nota introduttiva.