Questo libro racconta il realismo della letteratura novecentesca da un'ottica straniata e inedita, ed esplora l'ipotesi che alcuni scrittori italiani, Vittorini, Pasolini e Calvino, abbiano guardato alle tecniche espressive del linguaggio teatrale come strumento privilegiato per l'elaborazione narrativa di un proprio personale "realismo teatrale". L'individuale approdo alla cultura teatrale da parte dei narratori presi in considerazione è inquadrato nell'ambito di una più ampia tendenza all'interdisciplinarietà e alla rottura delle barriere di genere che riguarda tutta la cultura novecentesca, con riferimenti puntuali alle teorie di Szondi, Brecht, Lukács, Gramsci, Contini e Bachtin. L'autrice completa la sua indagine teorica con un'analisi critica di capolavori narrativi del Novecento come "Il barone rampante" e "Conversazione in Sicilia".