"Pochi autori come il Tasso hanno suscitato interpretazioni tanto differenziate e, in molti casi, discordanti. Posto di volta in volta a chiusura di un'epoca, quella manieristica, o come anticipatore della successiva temperie barocca, egli pare aver scontato il prezzo di un'esemplarità sin troppo manifesta rispetto al proprio Zeitgeist, una stagione che vede, nella vulgata storiografica, la regola prevalere sull'afflato creativo. 'Era già critico prima di esser poeta', sentenziò il De Sanctis, che arrivava a circoscriverne pure l'esperienza biografica nel perimetro di un implacabile autodafé, definendolo 'più crudele inquisitore di sé che il tribunale dell'Inquisizione'. A ciò poi si aggiungeva l'estrinsecità della corte quale destinataria e quasi principio informativo del mondo tassiano, che sembrava legittimare, da Croce in avanti, tutta una serie di giudizi limitativi sulla sua poesia, orientati ad accentuarne la natura encomiastica, aneddotica, addirittura frivola. La critica più recente ha compiuto un'imponente e fondamentale opera di scavo all'interno della cultura tassiana, delle sue letture, della sua poetica, ma il tentativo di rettificare il profilo complessivo dell'autore mostra esiti ancora incerti. In risposta alla vecchia immagine di un Tasso sconfitto dalla cultura controriformistica e alla fine assoggettato alle sue leggi, se ne sono di recente aggiunte altre..." (Dall'introduzione)