Questo libro ha la particolarità di incentrarsi quasi integralmente su un solo brevissimo passo dello "Zibaldone". Sono poche righe nelle quali Leopardi cita, in forma forse deliberatamente alterata, la più celebre auto-definizione poetica contenuta nella Commedia: «I' mi son un che quando Amor mi spira» diviene «I' mi son un che quando Natura parla». Nello stabilire un contatto con Dante, su un tema di cruciale importanza come l'idea stessa di poesia, la citazione innesta l'immagine della Natura che parla attraverso il poeta sopra quella del dittatore d'Amore. Il libro si sofferma sui significati che si addensano in questo minuto e tuttavia complesso nodo intertestuale, nel quale la ripresa del dettato originario si accompagna alla sua manipolazione, ed esplora la rete che si dipana da esso in molteplici direzioni. Il discorso muove a partire da una preliminare indagine dell'intorno interdiscorsivo del brano, sulle attestazioni settecentesche della stessa versione alterata del passo dantesco. Si inoltra poi nella struttura rizomatica dello Zibaldone, per chiarire i nessi che legano questo spunto al complesso del pensiero leopardiano. Si allarga, infine, a tracciare le triangolazioni che, in una prospettiva di lunga durata, collocano la sua riflessione nel campo dell'estetica occidentale, tra ritorni dell'antico ed epifanie del moderno e del contemporaneo. Natura, soggettivismo lirico, immaginazione, sublime sono i concetti nevralgici di un tragitto intellettuale che rende il pensiero leopardiano un apporto decisivo in un campo magmatico, percorso nei primi decenni dell'Ottocento da imponenti correnti di cambiamento.