Perché non possiamo prescindere dalla Shoah come evento paradigmatico di sopraffazione dell'uomo sull'uomo? Adorno riteneva che non fosse più possibile scrivere poesia dopo Auschwitz, tanta era stata la violenza annichilente dell'universo concentrazionario dei Lager. La ferocia nazifascista spezza le vite di milioni di deportati, ne nega l'identità, privandoli di ogni forma di diritto. Il comando tedesco distrugge i legami comunitari, sovverte le leggi della società, istituendo una macchina per l'annientamento dell'uomo. Contro l'ideologia della razza, la parola dei testimoni sopravvive e si erge a difesa. Primo Levi, scampato all'inferno, forgia nel suo laboratorio di chimico, testimone e scrittore una parola inscalfibile, resistente all'oltraggio. L'autrice entra in questo laboratorio e prova ad osservarne le componenti linguistiche, psicologiche e sociali che, come reagenti di potenza straordinaria, innescano nel lettore reazioni emotive di un'intensità straordinaria. Primo Levi con ustionante pacatezza ci richiama, di fronte ai crimini commessi, al nostro ruolo di giudici, affinando la nostra capacità di riflettere sul contagio del male.