Il vestire trasandato e le abitudini da « bohémien », non permettevano di supporre che Ernesto Ragazzoni (1870-1920) appartenesse a famiglia novarese agiata e distintissima. Uomo di taverna, Ragazzoni fu anche uomo di mondo, ricercato dalla migliore società per la sua conversazione scintillante, la facile parola, la voce colorita e melodiosissima. La sua cultura era vasta. Conosceva perfettamente il francese e l'inglese, che parlava con facilità, sapeva il tedesco, lo spagnolo, e aveva anche incominciato a imparare il russo. Pochi sospettarono che l'umorista gaudente che fu, in apparenza, Ragazzoni, avesse una vita interiore tormentata e turbata. I problemi metafisici e religiosi lo preoccupavano, talora lo assillavano. Sentiva la bellezza della fede dei padri, ma non sapeva appagarsene. Errò d'inquietudine in inquietudine, alla ricerca di una luce ignota, del dio nascosto. Sminuzzò, disperse, sparpagliò il suo ingegno in chiacchiere, strofette, articoli, sognando sempre l'opera d'arte compiuta con calma, meditata a lungo, limata con severità. Aveva talmente coscienza dell'elevatezza delle proprie aspirazioni, che non volle mai raccogliere i suoi scritti. « Quando non ci sarò più - diceva egli alla moglie - se qualche amico di buona volontà vorrà raccogliere le mie poesie e i miei scritti, non potrò certo oppormici. Ma, te ne prego, se qualcuno farà la prefazione, bada che non mi prenda troppo sul serio... ».