Il viaggio è essenzialmente uscita di sé al fine di un ritorno, ma modificati, iniziati da ciò che sta al di fuori di noi. Non esiste scrittore che salpi senza tornare, senza cioè aver consegnato al lettore, alla comunità da cui era partito, un resoconto della sua avventura, un diario di bordo che amplifica la conoscenza del mondo dei terrestri impauriti dall'esperienza del viaggio, ma desiderosi di conoscere che cosa accade oltre l'orizzonte. Il viaggio in letteratura è più di un genere, è piuttosto un nervo, un cardine dell'esperienza letteraria stessa. Che ha costruito una ricca tradizione nella narrativa, non nella poesia. Credo la ragione sia approssimabile: la poesia è in se stessa un viaggio assoluto, azzera spesso la questione della distanza geografica. Spesso, non sempre. Uno degli inesauribili paradossi su cui la poesia pare costituita: non esiste un vero e proprio genere di poesia di viaggio, quando invece la poesia viaggia più della prosa, essendo per definizione ubiqua. Il fatto poi che non esista un genere codificato di poesia di viaggio (come esiste invece quello della poesia d'amore, ad esempio) non significa che il viaggio non ispiri grandissime opere poetiche, e che in alcuni casi non ne sia proprio il motore, il segreto e l'impulso dinamico.