Lo scritto di Roberto Montesi, in seconda di copertina, coglie con immediato e intelligente risalto il significato e la sintesi di Pistadda, l'apologo di un pastore guerriero, nel quale «Il calcio è come strumento per dirimere spinose questioni politiche, come confronto di interazione tra popoli e inclusività. Faccia a faccia, uno contro uno. Sarebbe bello se potesse accadere nella realtà, lo auspicava a suo tempo Diego Maradona. Ma questa di Marco Melis è una favola e nelle favole tutto è permesso, altrimenti che favole sarebbero? Tra il capitano romano Vinicius, altezzoso ma non privo di umanità, e il fiero pastore guerriero Itzor, sono subito scintille: l'uno rappresentante di un popolo conquistatore cui è tutto dovuto, l'altro attento a salvaguardare identità e indipendenza della sua gente. Due mondi troppo diversi per essere conciliabili. La speranza, ieri come oggi, viene dalle nuove generazioni, che poco sanno del passato e guardano al futuro. I figli dei due guerrieri vengono a contatto, si annusano, litigano anche, ma trovano quei punti di contatto indispensabili per stabilire un dialogo che li porterà dall'iniziale reciproca fiducia all'amicizia. Alla partita di calcio partecipano i Giganti. Quei giocatori dello scudetto rossoblù trapiantati in Sardegna millenni prima di Cristo. Un'idea suggestiva che conferisce mordente e prestigio alla storia dei rapporti tra Romani e Pelliti, come venivano chiamati gli antichi Sardi. E alla fine chi ha vinto poco importa: è bastato scendere in campo e gettare il seme della fratellanza. È una favola, appunto...