Fotografa, regista, scrittrice, disegnatrice, spettatrice, pensatrice... più semplicemente: artista. Difficile chiudere in una sola definizione il percorso di Agnès Varda (1928-2019), una figura chiave della cultura contemporanea, una narratrice instancabile che ha saputo utilizzare in modo sempre personale e spesso sorprendente tutte le forme della comunicazione audiovisiva, iniziando alla fine degli anni Quaranta con la fotografia per poi inaugurare, superati i settant'anni, una felice carriera di artista visuale. In mezzo, tanto cinema, di finzione e documentario, dagli anni Cinquanta, quando debutta nel lungometraggio con "La pointe courte" (1955), definito da André Bazin "un vero miracolo", fino all'anno della sua scomparsa, quando presenta al Festival di Berlino "Varda par Agnès" (2019), un viaggio personale nella propria avventura di cineasta, ideale chiusura di un percorso autobiografico che occupa l'ultima parte della sua carriera. Il successo "nouvelle vague" di "Cleo dalle 5 alle 7" (1961) è solo la prima tappa di un cammino in cui, nel corso di più di sei decenni, Varda ha attraversato stagioni molto diverse tra loro, segnate da importanti cambiamenti tecnologici, culturali e linguistici, sempre intuendo il modo più fecondo di continuare e, insieme, rinnovare il proprio percorso artistico. E, soprattutto, senza mai smarrire quella stupefazione per la vita, la realtà, i luoghi e le persone che segna in modo costante la sua produzione. Attraverso ventidue parole chiave - da America a Memoria, da Voce a Spiagge, da Cinema a Donne, da Autoritratto a Parigi... - il libro compone un ritratto di Varda, scritto e visivo, il più possibile esauriente e, insieme, aperto, mobile, stratificato: un ritratto in grado di dare conto della costellazione di passioni, curiosità, incontri ed esperimenti attraverso i quali Agnès Varda ha raccontato la realtà e, insieme, se stessa. Un pianeta umanissimo e gioioso, di cui resta ancora molto da esplorare. Postfazione di Gian Luca Farinelli.