Sono passati vent'anni da quando Pete Sampras ha alzato le braccia al cielo per l'ultima volta davanti al pubblico dell'Arthur Ashe Stadium. Era la finale degli US Open del 2002, e da quel giorno il tennis non sarebbe stato più lo stesso: nessuno poteva saperlo, ma il più grande giocatore che fosse mai stato ammirato fino a quel momento aveva appena disputato l'ultimo match della sua carriera. Quello di Sampras è stato un viaggio ricco di successi ma anche di difficoltà, legate innanzitutto a un carattere timido e introverso e a una naturale tendenza a non condividere le proprie emozioni. Caratteristiche che lo hanno messo in contrapposizione con altri grandi campioni americani del passato, come Jimmy Connors e John McEnroe, che al contrario erano dei maestri nell'esternare il proprio stato d'animo e infuocare le folle. Per Pete non è stato facile farsi amare, ma nel corso del tempo il pubblico ha imparato ad apprezzarlo anche per quel suo modo diverso di relazionarsi con le persone, oltre che per le sue tantissime vittorie: i sei anni consecutivi terminati al primo posto della classifica mondiale rappresentano ancora oggi un record assoluto. Senza dubbio è stata la rivalità con Andre Agassi a renderlo un giocatore migliore: diversissimi sia nella personalità che negli stili di gioco, negli anni Novanta e all'inizio del nuovo millennio i due hanno dato vita ad alcune delle più belle sfide mai andate in scena su un campo da tennis, e alla fine a prevalere è stato Sampras, con un vantaggio di 4-1 nelle finali Slam che vale più di ogni altra statistica. Oggi è giunto il momento di ripercorrere il lungo cammino percorso dal giocatore di Potomac, uno dei più grandi atleti di sempre.