Il primo Dante, l'autore della "Vita nuova" e delle "Rime" - che peraltro, dopo il cospicuo segmento iniziale, si estendono, e con esemplari imprescindibili, fino a date abbastanza basse -, è già una personalità artistica complessa, poliedrica, sfaccettata. Perfettamente in grado di assecondare rigorosamente un binario stilistico, una procedura espressiva, ma col bisogno invincibile di integrare ogni volta la ricetta, arricchirne gli ingredienti. Se si tratta del dolce stile e del libello in onore di Beatrice, ecco la cooptazione di versi e prosa, lirica e narrativa, arte e riflessione teorica sull'arte, a non toccare che alcune delle polarità messe in campo e fatte interagire. Un paesaggio ancor più composito presentano le "Rime", dove la sperimentazione attraversa un'ampia raggiera stilistica, generando quella pluralità di linguaggi e codici che da tempo apprezziamo, anche se convivere con essa significa accettare continui colpi di scena, i passaggi dall'aulico al comico, dalla lettera all'allegoria (e viceversa), dalle dolci rime a quelle aspre e sottili, senza che ci sia mai un assestamento definitivo e non reversibile, magari in una chiave a vocazione onnicomprensiva (per questo occorrerà l'avvento della "Commedia"). Una situazione del genere si giova non poco dell'intervento di un team, di una pattuglia di studiosi in grado di eseguire accertamenti differenziati. In questo volume intervengono Andrea Battistini, Stefano Carrai, Alberto Casadei, Loredana Chines, Paolo Falzone, Enrico Fenzi, Claudio Giunta, Marco Grimaldi, Giuseppe Ledda, Nicolò Maldina, Nicolò Mineo, Carmelo Tramontana. Ciascuno con la propria, peculiare esperienza di settori, pieghe, anfratti, metamorfosi, stratificazioni della galassia-Dante.