"Michaux", osserva Cioran, "ha abusato dell'imperativo di vedere in sé e attorno a sé, di andare al fondo non solo di un'idea (cosa più facile di quanto non si pensi), ma della minima esperienza o impressione". Ed è proprio questo andare al fondo l'operazione che egli compie in questi "passaggi" scritture ibride, che gli consentono di passare incessantemente da una forma all'altra, e non solo nel caleidoscopico susseguirsi dei testi, ma nell'ambito di ciascuno di essi. Dal saggio critico alla notazione biografica, dal catalogo alla poesia, dall'autoesegesi all'aforisma, fino alla narrazione pura, Michaux attraversa infatti l'intero sistema dei generi, facendoli implodere con soave disinvoltura. "Sensazione o pensiero, lui lo segue, senza preoccuparsi che appaia strano, bizzarro o strampalato" scrive André Gide. "Lo prolunga e, come il ragno, si sospende a un filo di seta, lasciandosi portare dal soffio poetico, senza saper neanche lui dove, con un abbandono di tutto il suo essere". Con un effetto, quanto mai tonico, di spiazzamento e di sorpresa: che prendano spunto da un fatto di cronaca, da una lettura o da un'esperienza personale, che descrivano il volto di una fanciulla o trattino di esotismo, che si presentino come brevissime annotazioni o lunghe riflessioni (sulla musica, sulla scrittura ideografica, sulla pittura rupestre, sui disegni infantili), abbiamo l'impressione, leggendo questi testi, di vedere per la prima volta ciò di cui parlano.