"Fermat - scrive Giorgio Colli - non e un matematico di professione: uomo brillante nella vita pubblica, conduce un'esistenza tranquilla e provinciale come alto magistrato di Tolosa, dedicandosi poi nelle ore di ozio, quasi per divertimento, ai numeri e alle figure geometriche. (...) Per lui il numero non e un simbolo scritto, ma un oggetto di intuizione. E' a contatto con il suo oggetto e si sente come un esploratore di misteri meravigliosi. E la sua predilezione per i numeri interi tradisce quasi un freddo trasporto mistico, di genuino stampo pitagorico. (...) Le Osservazioni su Diofanto (1670, postume) costituiscono forse la parte più aristocratica, severa e classica della sua opera, e sono dedicate di proposito alla teoria dei numeri. Si tratta di annotazioni marginali, che non suppongono quindi un lettore, e in cui l'enunciato del teorema viene perlopiu offerto come risultato che non mette conto giustificare. (...) E' evidente che il semplice enunciato bastava a risvegliare l'intuizione sinottica di Fermat, la sua prodigiosa immaginazione geometrica, in cui, prescindendo da qualsiasi discorsivita, gli oggetti rivelano in una simultaneita universale i loro nessi".