"I due volumi di de Lubac mantengono tutto l'interesse per la storia della ricezione e degli effetti del pensiero di Gioacchino da Fiore. Anche in tutte queste pagine, appare l'erudizione prodigiosa del gesuita francese. Quella che egli delinea è una straordinaria storia del pensiero e della nostra tradizione. [...] Il gesuita teologo non ha fatto però soltanto opera di storico erudito. È stato teologo e uomo di Chiesa, e non ha nascosto le sue carte. Egli medesimo ci dà la chiave di lettura, il suo punto di vista, e riconosce la sua come una lettura non neutra della storia (ma esiste una lettura totalmente neutra, distaccata?). Per capire, ricordiamo che egli pubblica negli anni dopo il concilio Vaticano II, e dopo quel sommovimento della società occidentale che è indicato (simbolicamente) come il 'sessantotto'. [...] Gioacchino da Fiore ha lasciato un'eredità importante, forse anche ingombrante. Ma ha anche trasmesso in determinati momenti storici e per una parte della sua posterità una certa speranza, a volte diventata utopia, a volte suscitatrice di apertura allo Spirito di Dio, che è sempre Spirito creatore". (dall'introduzione di Azzolino Chiappini)