Uno dei più celebri incipit della storia della letteratura recita che «tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo», ma forse anche nell'infelicità ci somigliamo un po' tutti. La famiglia protagonista del romanzo - Richard e Alice, sposati da 17 anni, con i due figli di 13 e 11 anni, Kája e Lola, fratello e sorella - sembra estratta da una statistica, appiattita in uno stereotipo descritto nel dettaglio dalla scrittura essenziale e impietosa di Soukupová, che con il suo sguardo entomologico ce ne descrive i comportamenti, i punti di vista, le aspettative, spesso scontate: come c'era da aspettarsi, nulla di straordinario, a nessuno succede niente di particolare, come in un esperimento di laboratorio in cui i vari elementi sono in uno stato di equilibrio. Forse non si tratta della felicità, ma ci si può vivere. Finché un elemento esterno rimette tutto in moto con un effetto a cascata che si riverbera pesantemente su tutti, rivelando che lo stato di quiete - come spesso accade - era apparente. Richard si innamora di un'altra donna. Un evento in fondo comune, che costringe gli altri componenti della famiglia, Alice e soprattutto i figli preadolescenti, a fare i conti con la situazione e a tentare di salvare il salvabile. Sempre che da salvare ci sia ancora qualcosa. Sempre che in quella famiglia ci sia mai stato qualcosa che valesse la pena. Si può ancora scrivere qualcosa di nuovo, di diverso, su un argomento affrontato innumerevoli volte dalla notte dei tempi? Il segreto di Soukupová è togliere la pelle alle cose, metterle a nudo completamente, senza riguardi e sentimentalismi, e fino al punto di dolore. Solo così la storia che andiamo a leggere può diventare, molte volte, anche la nostra.