Musica e psicoanalisi, in un percorso che da Schubert arriva ai Radiohead, passando da Bilie Holiday, Scott Walker e i Nirvana. Ma anche musica nella cura dell'autismo, delle disabilità e delle psicosi. Se musica e linguaggio condividono "la lingua", l'impasto di suono e godimento dal quale entrambe derivano, la musica, in quanto sintassi e grammatica di significanti vuoti, prende una direzione particolare. Apparentemente così vicina al nucleo della soggettività, essa "ci parla" promettendo di svelare i segreti codici della nostra affettività. Ma il legame tra musica e senso è destinato a rimanere solo una promessa, un gioco di sembianti senza maschere, nient'altro che un'allusione ai contenuti rimossi dell'inconscio. É forse questa la caratteristica che fa della musica un importante strumento di cura: come articolazione e sintassi del godimento, le improvvisazioni cliniche puntano al Reale, presentificandone gli effetti. Ciò avvicina il significante musicale al nuovo significante invocato dall'ultimo Lacan, "un significante che non ha alcun tipo di senso, sarebbe forse quello che potrebbe aprirci a ciò che chiamo, nel mio modo maldestro, il Reale".