Klossowski è riuscito a costruire un libro-labirinto all'interno di un altro, tuttora ingannevolissimo, labirinto: gli scritti di Nietzsche degli ultimi anni, tra la folgorazione dell'"eterno ritorno", il progetto di un'opera che avrebbe dovuto chiamarsi "La volontà di potenza" e gli estremi messaggi dell'"euforia di Torino". Proprio su questo punto si dividono, da sempre, le interpretazioni di Nietzsche: sono anni di progrediente lucidità? o di progrediente follia? Klossowski recide subito questo banalissimo nodo, affermando che tutto il pensiero di Nietzsche "ruota attorno al delirio come attorno al proprio asse". E già questo permette di stabilire una incolmabile distanza fra tale pensiero e la sequenza della filosofia: c'è uno iato che separa sin dall'inizio l'impresa speculativa di Nietzsche dal discorso occidentale - lo iato del caos. Per non perdere mai il contatto con questa singolarità irriducibile di Nietzsche, Klossowski ha scelto la via più ardua, ha deciso di lasciarsi trascinare "dal mormorio, dal respiro, dalle esplosioni di collera e di risa di questa prosa, la più insinuante che si sia mai formata nella lingua tedesca". Così, più che l'articolarsi dei concetti, segue le "fluttuazioni d'intensità" in quella "tonalità dell'anima" che era Nietzsche stesso - e il libro si intesse alle sue pagine come un perpetuo commento, un'eco dove le parole dell'autore stingono su quelle dell'esegeta e viceversa.