«La poesia rincorre complessità e contiguità, sperimenta le multiformi versioni della vita, idealmente è capace di sottrarsi al bagliore eterno della morte. Di contro l'umano fallisce dubitando di ogni cosa, teme di non trovare stili sufficienti a capire il mondo, ma gli stili concernono imitazione e dunque spinta a ricominciare da capo. Dentro questi dilemmi e queste equazioni irrisolvibili Daìta Martinez scrive da sempre partiture che posa a terra, stagione dopo stagione, mischiandole alle pietre laviche fonda una lingua che evita di capire il mondo ma ne inventa uno molto simile alla casa temporale: dimora paterna, dove si concentrano tutte le ore del giorno, e del giorno nelle stagioni, e delle stagioni negli anni.» (Dall'introduzione di Elio Grasso).