"Se le porte della percezione fossero purificate / ogni cosa apparirebbe all'uomo come in effetti è, infinita. / Perché l'uomo si è imprigionato così / da veder tutto attraverso le crepe della sua caverna". È rammentando questi versi di William Blake che ho intrapreso a scrivere questo testo autobiografico. E l'ho fatto nel pieno della pandemia, la nostra terza guerra mondiale. Di fronte all'incertezza del presente e del futuro, ho cominciato a fare i conti con il mio passato e mi sono "salvato" grazie ad esso, a quel "matrimonio del Cielo e dell'Inferno" che è sempre stato. Ma non è dal virus che mi sono salvato - questo lo ha deciso o lo decide lui, se mai - ma dall'angoscia di quel primo lockdown che ci ha segnato tutti per sempre. Ripercorrere il mio immaginario ha pian piano dissipato quelle "fitte tenebre" che "si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante" e ho scoperto che "ho vissuto", così come diceva Neruda. Con la gioia entusiasta di un bambino.