"Quello che colpisce a una prima lettura, e ancor prima, forse, a un primo sguardo, nella nuova silloge di Giorgio Fusco è il modo in cui il poeta utilizza la lingua scritta, con l'uso ripetuto della lettera maiuscola, l'assenza di punteggiatura, con l'invenzione di nuovi vocaboli generati dalla fusione di più termini generalmente antitetici (indecisivolontà, rallentappetiti, maternalterità), con gli accostamenti arditi e ossimorici. Il distico è la misura di una poesia che vuol essere folgorante, immediata, che vuole andare dritta al punto, scevra da orpelli retorici, libera da costrizioni, tesa alla ricerca di significati nuovi più che alla ripetizione di vecchi enunciati: una poesia che nasce dall'ispirazione, ma risponde anche a un canone poetico, una poesia che è voce di un'espressività autentica e al tempo stesso sa inserirsi a pieno titolo nell'ambito di una tradizione letteraria consolidata. (...)" (Cristiana Vettori)