Cartonato con sovraccoperta, in cofanetto; ill. b/n. Il volume di Cristina Acidini Luchinat, edito da Federico Motta Editore, raccoglie ed illustra con gli scatti di Aurelio Amendola l’intera produzione scultorea del Buonarroti, colmando una lacuna del panorama editoriale internazionale.
Il libro è composto da una prima parte di saggi critici che riaffrontano la figura dell’artista alla luce dei recenti dati emersi da campagne diagnostiche, puliture, restauri, acquisizioni informatiche e restituzioni digitali.
La seconda parte raccoglie invece dettagliate schede delle opere e dei complessi di statuaria realizzati dal Buonarroti.
I capitoli iniziali sono dedicati ai primi trent’anni dell’artista e approfondiscono con particolare attenzione il passaggio dallo studio dell’Antico alla dimensione colossale nelle opere di Michelangelo, concentrandosi sulla sua formazione di scultore nel Giardino di San Marco di Lorenzo il Magnifico e sulle sue opere giovanili realizzate tra Firenze, Bologna e Roma.
Tra queste possiamo ricordare la Battaglia dei centauri, la Madonna della Scala, il Crocifisso ligneo, i Santi Procolo e Petronio nell’ Arca di San Domenico a Bologna, il Bacco, la Pietà Vaticana e il David (1504).
I capitoli successivi si concentrano invece sui grandi incarichi eseguiti per conto dei Medici (Tombe Medicee nella Sagrestia Nuova di Firenze) e per conto di Giulio II, che nel 1505 chiama il Buonarroti a Roma per commissionargli il monumento sepolcrale da collocare all’interno della vecchia basilica di San Pietro.
Prende così l’avvio una vicenda di contrasti con il pontefice e i suoi eredi, che si concluderà con la realizzazione di un progetto assai ridotto rispetto al grandioso piano iniziale: il mancato compimento di quest’opera fu molto doloroso per Michelangelo, che ne parlò come della “tragedia della sepoltura”.
Giulio II muore nel 1513 e si ripropone il problema del monumento funebre: i lavori della tomba vengono ripresi secondo un nuovo progetto.
Di questo nuovo incarico ci restano il Mosè e i due Prigioni conservati al Louvre.
L’ultimo capitolo chiude l’analisi incentrandosi sui trent’anni finali della produzione del Buonarroti, dal 1534, anno di trasferimento a Roma, alla morte nel 1564, prendendo in considerazione le sculture di Rachele e Lia collocate ai lati del Mosè nel monumento sepolcrale di Giulio II, il Bruto, le Pietà Bandini e Rondanini, il piccolo Crocifisso ligneo.
All’interno della narrazione sono anche inquadrati criticamente i temi della scultura michelangiolesca: la cavatura dei marmi, il trattamento delle superfici, la “linea serpentinata”, il “non finito”.
Particolare attenzione è rivolta alla lavorazione dei marmi, al trattamento dei volumi, ai passaggi dei vari strumenti di lavoro sulle superfici, che Michelangelo padroneggiava appieno per ottenere una gamma diversificata di effetti.
Completano la trattazione duecento fotografie di Aurelio Amendola, che con il suo sguardo si sofferma su dettagli e particolari, off