Tra il XVIII e il XIX secolo, Napoli e il suo regno furono un centro nevralgico per il milieu antiquario sia locale sia straniero. La Corona borbonica compì un notevole sforzo per tutelare il patrimonio archeologico dello Stato, segnatamente in seguito all'inizio degli scavi nei siti vesuviani: Ercolano nel 1738, Pompei nel 1748 e Stabia nel 1749. Questi "regi scavi", tra l'altro, erano un bene allodiale, vale a dire che erano una proprietà privata dei Borbone. Focalizzando su Pompei, la sua (ri)scoperta nel 1748 ebbe un'immediata eco nel contesto culturale del tempo, ampiamente diffusa in tutta Europa. Lo straordinario stato di conservazione dei reperti ivi rinvenuti attirò collezionisti da ogni dove, i quali tentarono (con successo o meno) di ottenere qualcuno di quei ritrovamenti, nonostante le rigide normative governative. Il principale scopo del presente lavoro è rintracciare i Pompeiana esportati in collezioni europee sia pubbliche sia private, durante il periodo 1748-1830, cioè dall'esordio delle investigazioni borboniche nell'antica città campana alla morte di re Francesco I, dispiegandosi dunque quasi in parallelo all'evoluzione del sistema legale disciplinante il patrimonio storico-artistico del regno partenopeo. Un altro importante obiettivo è definire le modalità che consentirono ai collezionisti di entrare in possesso di un tal genere di antichità. Per ogni manufatto preso in considerazione, una finalità fondamentale è ricostruirne il suo itinerario collezionistico; inoltre, una sfida intrigante è identificarne i suoi dati contestuali. Una meticolosa ricerca archivistica, principalmente condotta nell'Archivio di Stato di Napoli e nell'Archivio Storico del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, è stata essenziale per sviluppare l'intero studio.