La sera del 16 febbraio del 1987 affonda nel mar Mediterraneo un peschereccio atlantico, iscritto al compartimento marittimo di Mazara del vallo. Era diretto a Dakar, nel Senegal. Nel naufragio muoiono diciannove marinai, quattro italiani e quindici africani, tutti regolarmente imbarcati e dipendenti da diversi anni di una società armatrice siciliana, proprietaria del peschereccio. Fu una grande tragedia per i familiari delle vittime e per l'intera comunità mazarese. Il libro narra, in una altalena di emozioni, la storia di un peschereccio, il Massimo Garau, e del suo equipaggio, che per cause all'apparenza misteriose cola a picco senza lasciare traccia di sé. Dopo diversi mesi, tra congetture sospetti, illazioni, ricostruzioni fantasiose, la barca da pesca viene ritrovata ad ottantatré metri di profondità, adagiata sul fondale marino tra Tunisi, e l'isola di Pantelleria, e solo dopo dieci lunghi anni riportata in superfice. La narrazione è condita da storie personali del fondatore della società di pesca oceanica, racconti che si intrecciano con quelli dell'autore del libro che, oltre ad esserne il narratore, in parte ne è anche protagonista. Nella storia del naufragio del Massimo Garau si delinea, inesorabilmente, come in molti altri misteri italiani, l'ombra del depistaggio. Tra menzogne e mezze verità ci si scopre, ancora una volta, appartenere ad un Paese nel quale la soluzione dei casi, tra cui quello del naufragio del peschereccio siciliano, è talvolta impossibile quando, ad essere coinvolti, vi sono apparati dello Stato. Il libro, per le rivelazioni in esso contenute, e il coraggio di esporle, pone l'autore tra i più audaci scrittori di racconti di fatti realmente accaduti.