Quella della quindicenne Mariùte, ambientata tra le montagne innevate della Carnia, se pur presumibilmente negli anni Trenta (ma in realtà nessun indizio esplicito lo chiarisce) è in realtà una storia senza tempo di miseria e di violenza. Rimasta sola con la sorellina Rosùte di sette anni dopo la morte della madre, vive con lo zio, uomo rozzo e per certi aspetti primitivo, che possiede conoscenze e abilità tecniche, ma non conosce la comunicazione empatica. Succube anche di un senso di riconoscenza e di inferiorità verso lo zio, Mariute vedrà gradualmente impallidire e spegnersi le sue speranze innocenti, precipitando nel gorgo vischioso di una quotidianità fatta di abuso e silenzio. Paola Bianchetti, coniugata Drigo, era nata a Castelfranco Veneto nel 1876. Cresciuta in un ambiente familiare culturalmente stimolante, si dedicò alla scrittura in una prima fase pubblicando, nel secondo decennio del secolo, due raccolte di racconti dal titolo "La fortuna" (1913) e "Codino" (1918). Successivamente alla morte del marito, avvenuta nel 1922, fu costretta ad occuparsi dei dissestati beni di famiglia, ritornando poi alla scrittura a partire dagli anni Trenta, con La signorina Anna nel 1932 e con un romanzo breve intitolato "Fine d'anno", del 1934, in cui si richiamano in parte le sue vicende personali. "Maria Zef", il suo ultimo romanzo, viene scritto e pubblicato nel 1936 quando l'autrice ha sessant'anni, due anni prima della morte. Per quanto possa stupire, visto che fu pubblicato in piena epoca fascista, il romanzo non passò inosservato, sia in Italia che all'estero. La crudezza del tema trattato, la violenza e l'incesto, la dimensione tragica costruita grazie alla nuda rappresentazione dei fatti, colpirono molto i lettori che riconobbero il valore letterario di Paola Drigo, scrittrice che merita di essere oggi riscoperta nella sua modernità.